IL VERO GUERRIERO
di Jacqueline Gentile
L'articolo del Maestro Ruta mi ha fornito uno spunto per alcune riflessioni a proposito delle emozioni “bistrattate” da noi esseri umani, in particolare sulla paura sulla quale spesso impera un manto intriso di vergogna e di giudizio.
In linea generale, le emozioni sono degli indicatori utili alla nostra sopravvivenza pertanto interrompere il contatto con esse porta come prima, immediata e disastrosa conseguenza l’incapacità di agire in modo adeguato al contesto in cui ci si viene a trovare.
La paura, infatti, ha un elevato valore funzionale: se la “ascoltiamo”, siamo allenati a distinguere una situazione pericolosa e, quindi, siamo anche in grado di fare fronte ad essa.
Nel caso contrario, bloccando la paura, siamo più esposti perché non avvertiamo il campanello di allarme che ci mette all’erta.
Dietro quello che può apparire un paradosso, si cela una verità che appare banale nella sua semplicità e cioè che diventiamo capaci di utilizzare uno strumento solo se familiarizziamo con esso, se impariamo a riconoscerlo e se ci alleniamo a “maneggiarlo”.
Tutte le cose messe “sotto il tappeto” diventano un potenziale di distruttività: se manchiamo di dimestichezza con la paura (come con le altre emozioni in genere) può accadere che cadiamo vittime di essa. Un valido esempio di questa disfunzione è costituito dalle fobie e dalle ansie che condizionano pesantemente l'esistenza di molte persone fino a bloccarla in una trappola di timori “irrazionali” che limitano la libertà di vivere. Si tratta della cosiddetta paura della paura che tesse, nella mente umana, una rete fatta di proiezioni catastrofiche, scenari disastrosi, oscillazioni dubbiose a elevato potere imprigionante.
Allo stesso modo, se abbiamo bandito la paura dal nostro sentire emozionale, la corteggeremo, in modo inconsapevole, lanciandoci in situazioni ad alto azzardo (correre in moto o in auto, praticare sport estremi etc) allo scopo di provare sulla pelle - grazie a un evento esterno - quei “brividi” adrenergici che nella quotidianità abbiamo negato a noi stessi. La soglia di sensibilità si alza quindi è necessario uno stimolo più intenso al fine di “sentire qualcosa”.
A causa del nostro vissuto personale, dell’educazione ricevuta e dei condizionamenti sociali, abbiamo imparato a tabuizzare la paura rendendola un’emozione di cui vergognarci. A ben guardare, la vergogna è anch'essa una paura, per l'esattezza è la paura del giudizio. Anche qui si scova una stravaganza: reprimiamo la paura per renderci forti e invincibili all'occhio esterno che ci rimira ma per realizzare questo... obbediamo a una paura!
Pertanto, la figura del “cavaliere senza macchia e senza paura” incastonata nell'immaginario umano quale emblema del coraggio, di colui che agisce senza esitazione alcuna, virtuoso e privo di fragilità, è stata erta sul piedistallo dell'equivoco.
È indiscutibile che il coraggio sia una nobile virtù; il suo significato è infatti agire con il cuore vale a dire in modo autentico e quest'accezione mal si accosta all'eroe impavido che si lancia nelle gloriose imprese con lo scudo che fa da barriera innanzitutto ai suoi moti d'animo.
Alla luce di queste considerazioni, il vero guerriero è colui che ha il coraggio di guardare a se stesso così com'è, di accettarsi nella sua personale verità senza nascondersi dietro un'immagine di sé vincente che esalta l'ego e crea una corazza disumana che scaraventa lontano dalla propria essenza, in un universo arido (e visionario) da cui le emozioni più tenere sono avulse.
Il vero guerriero commette errori e sa riconoscerli, sa scusarsi se crea ferite agli altri, è in grado di piangere e di mostrarsi fragile, riconosce i suoi limiti e, soprattutto, ha fatto della paura una preziosa alleata, schierata dalla sua parte e non un nemico da sconfiggere o, ancor peggio, un fantasma che aleggia nel suo animo e di cui è inconsapevole ma l'eco delle catene spettrali risuona comunque in ogni sua azione.
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